Il secolo
diciannovesimo è aperto
come d'inverno il
fuoco del santo,
eppure ritorce i
suoi steli di pianto
contro questo
futuro.
Lo specchio adagiato
per terra,
mentre ti trucchi e
pianifichi il mondo,
contorce le nostre
figure
sul finto splendore
di questo muro.
Aspettiamo il
momento, il tranquillo
secondo in cui un
guizzo gigante
trasformi la nebbia
in sipario.
Il leviatano non
placherebbe
la noia, ma anche le
onde
squarciate fanno da
eco
a sovrumani
argomenti.
Sappiamo attendere.
Educati al rancore e
all'ignavia,
posiamo le dita
tremanti
su seni lontani come
galassie,
sperando che il
chiosco
sia aperto tutta
l'estate.
Gli invitati al
banchetto di nozze
seduti ordinati
fottuti e beati
non ricordano
Michelangelo.
Riciclano frasi.
E poi abbiamo atteso
gli spari.
Rallentati da ciò
che raccontano
- venivano in aria,
subivano fronde -
sono il ricordo
lontano,
la facile
rivoluzione prima del ballo,
quando tutti si
concedono a tutti,
tarantolati a nord.
È un'impassibile
assenza cieca.
Ragazze
di paese e ragazzi di città,
soli in un
mondo di soli,
prendono
treni a mezzanotte.
Che vadano
ovunque!
La voce di
un cantante penetra
il fumo
della stanza,
odore di
vino e profumi scadenti,
sorridono
insieme in una notte
che
continua, continua, continua...
Sconosciuti
aspettano,
lungo il
viale cercano,
ombre
lampioni persone,
si vive per
un'emozione
nascosta
nella notte.
E lavoriamo
tanto.
Non per
denaro o cielo,
ma per
vanto.
Puntiamo su
un lancio di dadi
ancora una
volta.
Alcuni
vincono
alcuni
perdono
alcuni
cantano
canzoni
tristi...
Tieniti
stretta
a questa emozione.
a questa emozione.